sabato 22 gennaio 2011

Canapa: una lunga storia tra Carmagnola e Macello



Canale di macerazione per la canapa
 a Carmagnola

L'area di Carmagnola, Lombriasco, Casalgrasso, Carignano, Moretta, Polonghera, Carignano, Racconigi, Villafranca, Faule, Pancalieri, Cavour Vigone, Virle, Cercenasco,Garzigliana e Macello è una regione in cui la coltivazione della canapa è stata nei secoli assai diffusa e significativa per l'economia locale.

            Le tracce di quella quella coltura sono disseminate nei nostri paesaggi agrari, all'interno dei quali occhi attenti possono ancora scorgere i resti di qualche maceratoio (nasur), oppure in alcuni toponomi, come quello di regione “battitori” a Macello.
          L'attenzione su questa antica coltivazione è stata richiamata in anni recenti dal Comune di Carmagnola, che ha addirittura costituito un ecomuseo della canapa, e attraverso tenaci volontarie ricorda ancora quanto fosse importante, nel capoluogo di pianura, l'attività dei cordai, organizzati in corporazione artigiana fin dal XVIII secolo e concentrati nel borgo San Bernardo.
            Il mercato di Carmagnola era del resto già celebre nel Trecento per il commercio della fibra e del seme di canapa e nel corso del'età moderna i cordai carmagnolesi furono tra i principali fornitori dell'esercito sabaudo. Con l’avvento dell’industria nella prima metà dell’Ottocento a Carmagnola erano presenti già tredici canapifici che lavoravano per un fiorente mercato per il quale - come ricorda Renzo Agasso[1] - nel 1846 fu costruita un'apposita tettoia. Germana Cortassa, nella sua tesi di laurea, parla addirittura di un marrchio di qualità: "I commercianti di canapa di Carmagnola, vista la rinomanza della loro produzione, richiedevano ogni qualvolta inviavano balle di canapa fuori dal territorio comunale, l'apposizione del timbro della città, attestante la provenienza della canapa e la qualità".
            Carmagnola deteneva sicuramente il primato quantitativo nella produzione di canapa, ma quanto a quantità - se rapportata alle dimensioni del comune - e soprattutto a qualità anche Macello non scherzava. I catasti conservati nell'Archivio storico testimoniano infatti che se questa coltivazione era totalmente assente nel Trecento, essa prese invece piede nel corso dei secolil XV e XVI: da 12 giornate del 1437 si passa a 18 del 1458, a 23 nel 1533. Dietro a questo incremento a Macello, e più in generale nella piana pinerolese, si cela sicuramente lo sviluppo delle industrie artigiane a Pinerolo che, nel corso del Quattrocento, grazie a una buona disponibilità di risorse idriche e manodopera, nonché a un sistema mercatale e fieristico che richiamava commercianti anche da molto lontano, erano in grado di conquistare anche mercati lontani.
            La canapa segnerà in ogni caso profondamente il paesaggio agrario di Macello nei secoli. Secondo una testimonianza di Luigi Priotti, nel periodo di massima espansione, essa ebbe un'importanza pari al mais oggi. E una conferma in questo senso ci viene da Goffredo Casalis che sottolinea, a metà dell'Ottocento, come la canapa macellese riesca "molto atta alla formazione della tela". Ma gli usi della canapa erano molteplici e andavano al di là dei tessuti: essa serviva, come abbiamo già detto, per produrre robuste funi, i suoi stocchi venivano usati per la lettiera degli animali e da essa poteva venire estratto l'olio.
            La canapa veniva seminata di norma su terreni profondamente arati e ben concimati in rotazione con i cereali e offriva ai contadini un buon ritorno economico. Nonostante ciò va detto che essa ebbe scarsa diffusione nella provincia di Torino (alla fine del XIX secolo occupava un decimo dell'arativo, in media 4500 ettari, con un prodotto medio di 28.000 quintali all'anno) in generale e - dato assai interessante per noi - finì per concentrarsi proprio nella nostra regione come ci ricordano anche i contemporanei: "In tutti i territori posti nella pianura fa ottima riuscita [...]; nei territori però di Vigone e Pancalieri se ne raccoglie in maggior quantità; la migliore, ossia la più forte è quella che raccogliesi nel territorio di Macello" testimonia l'architetto Amedeo Grossi all'inizio dell'Ottocento. E ancora Goffredo Casalis ci ricorda che a Macello, Cavour, Villafranca, Pancalieri e Vigone la canapa occupava l'ottava parte "dei medesimi campi, e si aumenterà vieppiù questo ramo di coltura avuto riguardo al prezzo della canapa stessa". Le cose in realtà - come scrive Renzo Agasso - andarono diversamente dalle previsioni del Casalis, infatti con il pretesto del risanamento del debito estero Quintino Sella fece chiudere molte corderie destinate alla marina militare e rinunciò ad utilizzare la canapa nostrana.
            Oggi è l'Assocanapa, e soprattutto il suo tenace presidente, Felice Giraudo, a investire sul rilancio di questa coltura, e non è detto che con le nuove politiche agrarie del 2006, questa scommessa non possa rivelarsi alla fine vincente, ridisegnando nuovamente parte del nostro paesaggio agrario.
                                                                                                                                   

La canapa nelle Inchieste agrarie di fine Ottocento

           L'inchiesta agraria di Stefano Jacini e quella di Agostino Bertani sulle condizioni dei lavoratori della terra ci offrono una dettagliata descrizione delle fasi di lavorazione della canapa e degli inconvenienti che esse potevano produrre:

La canapa è coltivata più estesamente; divelta a maturità dal suolo, viene legata in fasci e poi deposta in strati in apposite fosse che sono riempite d'acqua; quivi è tenuta sommersa ponendovi sopra pietre o terra. La macerazione dura 6 o 7 giorni, cioè finché, provando si vede che la fibra si stacca, poscia si estrae la canapa, e la si lava e netta diligentemente onde la materia tigliosa non rimanga sporca, e la si pone ad asciugare al sole.
La macerazione possibilmente è fatta in acqua stagnante perché riesce meglio; coloro però che non possiedono maceratoi, e sono vicini a qualche torrente sogliono anche collocarla in queste. Nelle località prive d'acqua si fa macerare la canapa alla rugiada, stendendola sui prati o sulle stoppie dei campi. Le macerazioni chimiche sono ancora affatto sconosciute.
La stigliatura è fatta in massima parte a mano nelle serate d'autunno, e nei giorni piovosi.
In alcuni siti si usano le antiche e rozze maciulle di legno; l'uso delle macchine incomincia appena in quei territori ove la canapa è coltivata più estesamente.
La macchina dell’ingegnere Barberis, mossa dal vapore, è adoperata in qualcuno dei maggiori fondi nel territorio di Villafranca e paesi circonvicini.
Il conte Meana, in Fossano cercò diffonderne l'uso e fu il primo che abbia introdotto un sistema di stigliatura industriale, assumendosi di compiere tale operazione per tutti coloro che vogliono condurla al di lui predio.[2]
La macerazione che si fa all'aria aperta non è punto insalubre: un odore speciale e penetrante che esala dal campo dove ha luogo, produce cefalgie ed anche vomito, ma nelle persone soltanto che non vi sono abituate. […]. La macerazione nell'acqua corrente è preferita. L'acqua corrente scioglie a poco a poco e trasporta le materie gommo-resinose e coloranti di queste piante. […]
La macerazione di queste piante si fa anche in acque stagnanti o semistagnanti, sia che si abbiano naturalmente sul posto, sia che si ottengano deviando acqua corrente in fosse all'uopo scavate, o in altri modi. In questo caso l'acqua è sempre satura di sostanze organiche in putrefazione e di altre sostanze fisse o volatili che si svolgono da essa. L'aria circostante fa sentire anche di lontano un odore graveolente, che fu ritenuto in passato nocivo alla salute degli abitanti. Ma se i prodotti gassosi della putrefazione riescono molesti, non sono di alcun nocumento; e perciò i luoghi in cui si opera la macerazione si debbono considerare incomodi anziché insalubri, e sarà provveduto abbastanza quando si tengano lontani dall'abitato. […]
Se il terreno contiene i germi della malaria, è certo che senza un conveniente deflusso, le fosse di macerazione vengono a favorirne lo sviluppo. Come si è detto per le risaie, abbiamo qui riunite l'umidità e l'azione dell'ossigeno dell'aria, che insieme con l'alta temperatura sono le circostanze più propizie alla moltiplicazione di quei germi. […]
            La maciullatura delle canape e del lino, che si fa dopo la macerazione, è un lavoro che può durare, secondo la quantità del raccolto, da poche settimane a parecchi mesi.[3]


Filmato sugli attuali riutilizzi della canapa (da You Tube)






[1] AA.VV, Tra arti e mestieri, Centro Studi Carmagnolesi, Carmagnola, 1992.
[2] Meardi Francesco, op.cit., p.151.
[3] Panizza Mario, Risultati dell'Inchiesta istituita da Agostino Bertani sulle condizioni sanitarie dei lavoratori della terra in Italia, Roma, Stabilimento Tipografico Italiano, 1890, pp.42-43.



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