sabato 19 novembre 2011

Apprendimento



Apprendimento


Enciclopedie on line

apprendimento Nella ricerca sia psicologica sia etologica, acquisizione persistente di modificazioni del comportamento, dal semplice condizionamento di riflessi primari fino a forme complesse di organizzazione delle informazioni, determinate dall’esperienza del soggetto, piuttosto che da un controllo genetico. Un tipo particolare di a. detto anche a. precoce , è l’imprinting, che ha luogo in una fase ben definita e spesso assai breve dello sviluppo e si collega a un meccanismo attivatore innato. Le capacità di a

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venerdì 7 ottobre 2011

L'orizzonte di una classe dirigente

Il volume, preceduto da una presentazione del senatore Elvio Fassone, sviluppa il tema delle aspettative e dell'"orizzonte" della
classe dirigente locale (politici, imprenditori, intellettuali), di fronte all'Unità d'Italia. Dai saggi di Careglio e Drago, complementari per molti aspetti, emerge nitidamente quanto il Pinerolese e il suo capoluogo non siano stati timidi spettatori, quanto artefici e veri protagonisti del Risorgimento italiano: una tesi che i due autori dimostrano attraverso l'uso di fonti sia pubbliche che private (i verbali del Consiglio Provinciale e Divisionale, opere di carattere scientifico), restituendoci il quadro di un'epoca in cui la vivacità politica, imprenditoriale e culturale seppe rendere il Pinerolese centrale e non marginale nel processo di unificazione nazionale.


sabato 12 marzo 2011

PRAROSTINO UNA COMUNITA' RIBELLE

Era necessario un nuovo libro sulla resistenza a Prarostino? Era necessario dopo che nel 1995 e nel 2007, senza contare i numerosissimi opuscoli, due ponderosi volumi sull’argomento vennero dati alle stampe? Probabilmente sì, perché l’opera che si apre con questa pagina, in fondo si caratterizza per la sua diversità rispetto alle altre. Non stiamo certo parlando di qualità, non vogliamo, visto che ne siamo gli autori, assumerci meriti che non spetta a noi attribuirci. Stiamo dicendo che ciò che distingue questo libro dagli altri è il fatto che non si presenta come una raccolta, sebbene preziosa, di documenti e testimonianze, bensì come uno strumento che, sfruttando i medesimi, li utilizza per farne una sintesi storica. Una ricerca quindi, tesa a ricostruire i momenti più signifi cativi della vita della Comunità prarostinese, attraverso un arco di tempo che percorre un terzo di ‘900, il terzo più intenso e drammatico che il “secolo breve” abbia vissuto.
Quando si valuta una ricerca di questo genere viene spontaneo chiederci se essa aggiunge o toglie qualcosa al castello di ipotesi che fi no ad ora era stato messo in piedi riguardo il paese e la sua storia. Certamente sì, in quanto gli studi condotti fi no ad oggi sulla Comunità, non avevano permesso di stabilire che essa fosse così coesa, così visceralmente antifascista e così forte nella soff erenza. Non avevano defi nito quali fossero le formazioni partigiane che agivano nella zona e quali fossero i loro ambiti di azione e soprattutto non avevano preso in esame il periodo che va dalla liberazione alla acquisizione della nuova autonomia ed alla edifi cazione del Faro, vero monumento-simbolo di tutta la resistenza pinerolese, eretto nel luogo in cui questa resistenza era nata e si era data un’organizzazione.

Il volume in forma cartacea può essere ricniesto direttamente al Comune di Prarostino.

domenica 27 febbraio 2011

Macello. L'Archivio Virtuale



Un CD-ROM realizzato con la collaborazione grafica di Andrea Priotti, che racconta, attraverso testi, immagini e video, la storia, il territorio, le opere d'arte e le produzioni del Comune di Macello (To). Il cd è scaricabile cliccando qui.
La dimensione è di circa 560 mb, quindi il tempo necessario varia in relazione alla connessione internet (da mezz'ora a un'ora). Dopo aver scaricato estrarre i file e masterizzare il cd. Per l'installazione seguire le istruzioni all'avvio del cd o riportate sulla copertina.

venerdì 18 febbraio 2011

Laboratorio Storia&Multimedialità

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sabato 12 febbraio 2011

Bibiana, terra di confine

Posta al limite tra la grande piana pinerolese e le prime propaggini alpine Bibiana fu, ai tempi della guerra di liberazione, importante punto di transito per l’armata occupante e le forze di liberazione. Ciò spiega perché, nel paese, il breve periodo della Resistenza, fu caratterizzato da un lungo svolgersi di vicende particolarmente e intensamente drammatiche, che non videro solo il coinvolgimento dei combattenti, ma anche e soprattutto della popolazione, più volte chiamata a rendere conto dell’operato dei partigiani. Il libro cerca di essere una ricostruzione fedele di tali momenti.
In vendita nelle librerie

La guerra a casa e al fronte. Civili, partigiani e soldati della pianura pinerolese 1940-45




Il coinvolgimento nella guerra spezza i tempi della normale vita quotidiana, mentre, contemporaneamente, dilata gli spazi della comunicazione con enormi spostamenti di popolazioni in tutto il territorio europeo, e non solo. Sono queste le due principali coordinate a partire dalle quali questo lavoro restituisce un’immagine inedita della guerra nel Pinerolese. Non si tratta semplicemente di un importante contributo di ricerca e di sintesi rispetto alle ricostruzioni precedentemente disponibili, ma di qualcosa di più. Riconsiderando il rapporto tra centro e periferia, tra città e pianura, questa ricerca mette in luce aspetti poco indagati di quegli anni.
Le vicende e gli scenari che vengono ripercorsi in queste pagine, non solo smentiscono alcuni luoghi comuni che vorrebbero la Resistenza tutta concentrata sulle montagne, ma diventano un punto di osservazione particolarmente significativo per cogliere “il tempo di guerra”…
La ricerca qui presentata, rivolgendosi ad un ampio pubblico e mettendo a disposizione documenti d’archivio e fonti orali, si presenta come un tassello importante del travagliato processo di costruzione di una memoria pubblica. “Fare storia” non è, infatti, un monopolio delle storiche e degli storici né di una particolare disciplina, ma al contrario specie nell’orizzonte contemporaneo è l’esito dell’interazione di una pluralità di soggetti. Uno scambio che è alla base dello stretto legame che intercorre tra la formazione di una sfera pubblica democratica e le memorie degli individui. In una società aperta le memorie sono sempre conflittuali, mentre, al contrario, è tipico dei regimi totalitari l’imposizione dall’alto di una visione univoca della propria storia più o meno recente. In un panorama in cui la guerra è tornata ad essere il principale strumento di regolazione del conflitto, è bene non dimenticare che una memoria del passato banalizzata o congelata fa di tutti noi individui mancati e immemori, esposti più facilmente ai movimenti totalitari.
                                                              Liliana Ellena

 Volume in vendita o reperibile in molte biblioteche piemontesi.

Confini

Il DVD-rom è stato realizzato, nell'ambito del progetto "La memoria delle Alpi", su iniziativa del Comitato Colle del Lys e del Parco della Val Troncea ed è stato curato da Gian Vittorio Avondo e Valter Careglio. Prodotto a cura dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti".

 Cliccando sul link qui sotto è possibile scaricare e salvare un file compresso (formato “zip”) contenente tutti i files che compongono il DVD-rom e, successivamente, estrarre i files e salvarli in una apposita cartella sul computer o su un DVD-rom vuoto. Il tempo di scaricamento del file.zip dipende dalla velocità della connessione internet, ma è comunque lungo, al minimo di almeno 60 minuti per una connessione particolarmente veloce.
 Per avviare il DVD-rom dalla cartella sul computer aprire il file CONFINI.
Altrimenti, basta inserire il DVD-rom nell’apposito drive del computer.
 Il DVD-rom può essere eseguito solo sul computer e non è compatibile con il sistema operativo Apple MAC.
 



Quando il telaio scricchiola. La val Pellce e la crisi del cotonificio Mazzonis


Che cosa avviene in provincia quando un mondo basato su "terra e telai" entra in crisi e si scontra con l'espansione della metro­poli, in particolare della metropoli tori­nese, se­gnata dalla crescita della FIAT negli anni '50 e '60 di questo secolo?
Attorno a tale domanda ruota tutta la mia ricerca, i cui obiet­tivi si muovono in due dire­zioni. In primo luogo mi sono propo­sto di ren­dere conto di alcuni aspetti della vita quotidiana delle mae­stranze Mazzo­nis nel periodo antece­dente la chiu­sura del Cotonificio. Su questa base ho ritenuto importante ten­tare di deli­neare la fisionomia di un mondo - la val Pellice -relativamente orga­nico, stretto in­torno alla Mazzo­nis, che negli anni '50 del '900 conti­nua ad essere la piu' importante ri­sorsa econo­mica della zona con i suoi 3000 operai distribuiti nei due sta­bilimenti di Torre Pel­lice e Luserna San Gio­vanni; un mondo anche piuttosto chiuso in se stesso, sempre piu' emarginato dai processi di mo­dernizzazione che coinvolgono l'ambiente circo­stante e infine costretto a misurare il ritardo che lo se­para dall'Italia del "mi­racolo" proprio nel momento in cui si esaurisce la fonte princi­pale di lavoro e di ricchezza per la Valle, ap­punto la Maz­zonis.
In secondo luogo, seguendo l'itinerario di la­voro e di vita di un gruppo di operai tessili an­cora at­tivi negli anni '60, mi sono proposto di descrivere l'impatto della crisi del cotoni­ficio Mazzonis sulla vita delle famiglie operaie e in generale sull'economia della Valle: si pensi alle drammatiche conseguenze della di­soccupazione, alle strategie messe in atto per sopravvi­vere ed alla condizione sociale suc­cessiva alla fine dell'esperienza Maz­zonis. Nell'analisi del conte­sto in cui gli at­tori si sono trovati ad agire, ho tentato poi di svilup­pare una delle ipotesi di fondo della ricerca: l'idea cioe' che dopo la chiusura della Mazzonis la val Pellice, da zona chiusa in se stessa, abbia gra­dualmente aumentato le sue relazioni con il mondo circostante e dal nuovo rapporto creatosi con l'esterno sia scatu­rita anche una nuova mentalita'. La chiusura della Mazzonis, in al­tre parole, conduce si ad una ridu­zione netta delle occasioni di sviluppo auto­nomo, ma, nello stesso tempo, sembra contribuire a libe­rare nuove energie che, pa­radossalmente, lavore­ranno nella pro­spettiva di una progressiva e radi­cale trasformazione in senso piu' moderno della zona.
Questi dunque gli obiettivi di fondo. Veniamo ora alla strut­tura dell'esposizione. La prima parte (capp.I-V) e' dedi­cata alla vita in fabbrica e in valle fino ai primi anni '60. Vengono espo­sti i ca­ratteri geografici, sociali ed economici dell'area presa in considerazione nel corso del '900 e, sulla base di fonti d'archivio, viene poi of­ferta al lettore la "radiografia" di un gruppo con­sistente di operai tessili residenti a Luserna San Giovanni al 1961, con ri­ferimento alle differenze relative al sesso, alla reli­gione, all'eta', al ti­tolo di studio, alla struttura del reddito fami­gliare e alla loro occupazione spe­cifica. Dall'analisi quantitativa dei dati emerge chiaramente il rapporto di stretta dipendenza economica di molte famiglie dall'industria tessile.
Degli operai Mazzonis si considerano successiva­mente le vicende all'interno e fuori degli sta­bilimenti. La prima parte della ricerca si conclude con un'analisi dei rap­porti tra operai e sindacali­sti durante gli anni '50 dalla quale emerge l'idea di una classe operaia assai "docile". La supposta "docilita'" degli operai e la loro diffidenza nei confronti del sinda­cato sembrano pero' venire molto presto smentiti dallo sciopero del 1960-61, descritto su­bito dopo: vicenda protrattasi dall'autunno del 1960 fino alla primavera suc­cessiva.
La seconda parte del lavoro (capp.VI-X) prende le mosse dall'analisi della crisi industriale che coinvolge il comprenso­rio pinerolese intorno alla meta' degli anni '60. Per quanto riguarda la crisi della Mazzonis nella sua specificita' mi e' parso utile guardare con attenzione alle reazioni degli operai, all'analisi delle re­sponsabilita' che essi svilup­parono circa il fallimento dell'azienda e infine all'impatto della chiu­sura del Cotonificio sulle famiglie, ai drammi umani inevitabili in una situazione del genere, alle iniziative di spontanea solida­rieta' unitamente a quelle delle istituzioni.
Agli ultimi due capitoli e' infine affidato il compito di sol­levare una serie di problemi relativi alla fisionomia econo­mica che la valle assume nella seconda meta' degli anni '60 e nei primi anni '70. La val Pellice sembra in­fatti presentare con la fine della Mazzonis due facce di­verse: da un lato essa appare piu' ricca; dall'altro pero' sembra denun­ciare un progressivo invec­chiamento della popo­lazione; quanto agli ex-operai Mazzo­nis, di essi va consi­derato il progressivo grado di emargina­zione. Le donne sem­brano pagare i costi maggiori della crisi sia in termini economici che umani; la maggior parte di esse dopo un'esperienza piu' o meno lunga in fabbrica si trova a do­ver ritornare a casa nono­stante un'eta' relativamente gio­vane; per molti uo­mini al contrario la chiusura della Maz­zonis coin­cide con il proprio pensionamento, vissuto, cosi' come la fine dell'azienda, al pari di un evento fa­tale, di­rei quasi naturale.
Vorrei approfittare dell'occasione per segnalare che i natri delle interviste effettuate agli ex-operai e la relativa trascrizione sono depositati presso l'Archivio Sonoro della Societa' di Studi Valdesi.
Il volume è attualmente in vendita e reperibile nelle librerie, oltre in molte biblioteche piemontesi.

domenica 6 febbraio 2011

Alluvioni a Macello

L'importanza degli archivi e della memoria

Un percorso ecostorico
             Tra le tante polemiche che l'alluvione ha registrato contro l'incuria generale nella pulizia dei fiumi, e del torrente Chisone in particolare, contro gli scarsi interventi previsti dal Magistrato del Po a tutela del nostro territorio, mi sembra che non sia stato dato sufficiente rilievo a un problema di non poco conto nella pianificazione del nostro territorio (piani regolatori) e di eventuali forme di difesa dalle future alluvioni: in quest'ultima ondata le zone in fascia fluviale a rischio sono state solo marginalmente interessate dall'evento, mentre il capoluogo, che si trova al di fuori di questa fascia ne è stato travolto totalmente.
            Errori del geologo? Non lo so. Certo è che quando un toponimo si chiama "Malpensata" o "Giairasse", chi determina le zone a rischio alluvionale di un Comune, dovrebbe almeno riflettere un momento sul suo etimo che, evidente nel primo caso, nel secondo, come ghiaia, deriva dal latino glarea (= detriti di rocce trasportati dai fiumi) e, da questo punto di vista non lascia sperare nulla di buono. In ogni caso i toponimi da soli non bastano.
            Si può ricorrere allora alla memoria degli anziani o a quanto conservato negli archivi comunali e parrocchiali.
            Ho provato a svolgere questo esercizio, soprattutto nella prospettiva di offrire al geologo del materiale su cui riflettere in vista della sua relazione per il nuovo piano regolatore. Inutile dire che, pur avendo effettuato uno spoglio di documenti ancora sommario, mi sono imbattuto in una serie di documenti significativi che forse è bene condividere con tutti, affinché tutti sappiano e ciascuno tragga le sue conseguenze.

Tre secoli fa
            Innanzitutto va detto che Macello ha patito fin dall'inizio la sua vicinanza al Chisone tanto che, sorto originariamente oltre la balera della Ghiara, intorno all'antica Chiesa parrocchiale di S.Maria Maddalena, a levante-mezzogiorno dell'attuale abitato, e dunque verso il Chisone, con la costruzione del castello finì per essere spostato in una posizione più sicura attorno al ricetto che si stava sviluppando già nel corso del XIV secolo.
            Nonostante ciò, ancora all'inizio del settecento il torrente continuava a creare problemi alla Comunità macellese che, in una supplica, esortava la Duchessa di Savoia Anna D'Orleans, a prendere i dovuti provvedimenti:

Espone la Comunità di Macello quando nell’occasione dell’innalzamento del livello dei fiumi avvenuta a causa della pioggia caduta nella primavera trascorsa, il torrente Chisone si ingrossò in tale maniera che, lasciato il suo vecchio letto, ne formò uno novo nel territorio di Macello, e ne’ più fertili beni d’esso, ove continuamente et inanzio presentemente ha corrozo, et va corrodendo beni, et nel caso de nova escrescenza, oltre alli beni, le case et habitazioni […] d’esso luogo restano in evidente pericolo d’essere corrose, et estirpate, et ridotto il Registro della Comunità a puoco, o nulla.
  E per evitare quanto su esposto si richiedono pronti riparti da farsi, eziandio sovra territori alieni, et massime superiori a quelli di Macello […]
  La S.V si degni di comandare a chi meglio le parirà che trasferendosi sovra li luoghi de’ luoghi e chiamati quelli che si dovranno chiamare, assunto seco persona esperta, faccia procedere alla deposizione di quei ripari necessari e sufficienti, et in quelli luoghi che stimerà più opportuni per evitare i danni che potrebbero venir causati da nuove inondazioni, e presa cognizione di tutti i danni già causati e che possono causarsi dal torrente.
  Nell’occasione di tali ripari proposti si faccia concorrer anche le altre comunità, sia inferiori che superiori, si e come si stimerà conveniente […]
  Si rimanda al Conte e Refferendario […] della Provincia di Pinerolo, ed in sua assenza al Conte Refferendario di Stato […] che trasferendosi sovra li luoghi de’ luoghi supplicati, chiamati quelli che si devono.[…]
            Una relazione successiva confermava la
Situazione delle Repari […] al luogo del Bacino Chisone […]
  Ripari si devono conservare […] a Pinerolo e Macello e vicino all’imboccatura della bialera di Vigone. […] Secondo si formerà un reparo al di sotto del ponte a Garzigliana nella regione Boschi del paschetto e nel territorio di Vigone, a Garzigliana.

            E portava alla tanto auspicata ordinanza di intervento:

ANNA D’ORLEANS PER GRAZIA DI DIO, DUCHESSA DI SAVOIA, PRINCIPESSA DI PIEMONTE, REGINA DI CIPRO
Visto le nostre udienze, alligata supplica, e considerato il suo tenore. Per le presenti, di nostra certa scienza in vigore dell’autorità che teniamo, da S.A.R. mio signore e consorte, e con il parere del Consiglio mandiamo ed ordiniamo al Conte Referendario Ruschis, direttore della Provincia di Pinerolo, ed in sua assenza al Conte e Referendario di Stato Cassotti di Ceresole, quali in ciò, specialmente reputiamo che, trasferendosi sovra li luoghi de’ luoghi supplicati, e chiamati quelli che si dovranno chiamare [provvedano tempestivamente a riparare i danni con un contributo spese per quelle comunità che pensa che debbano avere tale aiuto][…] Torino, 20.8.1708[1]
            Si trattò evidentemente di piccoli interventi, dal momento che l'architetto Amedeo Grossi, nella sua Corografia della città e provincia di Pinerolo (1800), segnala che a metà del '700 il paese fu travolto da una grave e pesante alluvione:
  Verso la metà del presente secolo il Chisone andò inondare il Luogo di Macello, per cui si suonò campana a martello, acciò che il Popolo si mettesse in salvo.

Nell'Ottocento
            Ed è ancora Casalis, mezzo secolo dopo, a segnalare le continue difficoltà che derivano dalle continue esondazioni del torrente Chisone:
 Il Chisone vi si tragitta col mezzo di un ponte in legno facile ad essere distrutto dalle escrescenze dalle acque, come sovente accade in primavera e anche in autunno […] Per mezzo di canali se ne derivano le acque per l’irrigazione, delle campagne di vari comuni sui quali discorre; è però danno che esso nelle frequenti sue piene apporti gravissimi danni al territorio della città di Pinerolo, e alle terre dei Comuni di Macello e Cavorre.
              Ovviamente ad essere coinvolto da questo piene non è solo territorio di Macello, ma anche quelli di Garzigliana e Cavour (Castellazzo). Tutti abbiamo constatato come in quest'ultima alluvione la sponda più erosa dal Chisone sia stata quella sul territorio di Cavour, in prossimità di regione Castellazzo. Un dato che, a leggere i giornali di fine ottocento, non sembra rappresentare una novità:
 Le recenti piogge, mentre hanno ritardato lo sviluppo della vegetazione nelle nostre campagne han pure causato le piene dei torrenti Chisone e Pellice, e non pochi gravi danni. […]
Ma dove maggiore correva il pericolo si era nelle vicinanze di Garzigliana. Il Chisone invase la località detta del Castellasso, obbligando parecchi massari a sgombrare dalle loro case con il bestiame, ed inondando prati, campi e vigne per la superificie di circa due miglia.(La lanterna del Pinerolese, 17 maggio 1890).
 
La penultima ondata
            Al di là di queste piccole notizie d'archivio la memoria degli anziani si concentra sulla grande alluvione che investì le campagne macellesi, subito dopo l'ultimo conflitto mondiale, nel 1949. Una tragedia annunciata, dal momento che già un anno prima, il 16 maggio del 1948, il Chisone, dopo aver rotto gli argini degli Agnesini, tornava seriamente a minacciare le campagne di Baudenasca e Macello:

Domenica mattina, 16 (del) corrente (mese),il Sindaco di Pinerolo con l’Assessore (….) e il Sindaco di Macello, si sono recati nella località maggiormente colpite dall’inondazione, ed hanno provveduto a far eseguire opere di fortuna per contenere le acque del Chisone, che avevano già rotto le vecchie arginature presso le cascine Agnesini, minacciando di rompere completamente la sponda e di riversarsi nelle campagne circostanti di Baudenasca  e Macello. (L'Eco del Chisone, 22 maggio 1948).

            E in effetti, con una ciclicità impressionante, l'alluvione del 2 maggio 1949 colpì pesantemente le nostre campagne: in seguito allo straripamento del Chisone, provocato dalla rottura degli argini in zona Agnesini, nelle vicinanze del Torrione, veniva infatti isolato il Galoppatoio di Baudenasca e le acque invadevano immediatamente le due cascine denominate “Venaria”, ed alcuni locali dell’amministrazione militare.
            Ripercorriamo attraverso la cronaca del settimanale locale quei terribili eventi:
La situazione si presentava subito grave, in quanto la larghezza e l’impetuosità del doppio corso d’acqua che si era venuto a formare (da una parte le acque del Chisone, e dall’altra quelle del canale irriguo di Buriasco, alimentato dal Chisone) e le condizioni meteorologiche sempre sfavorevoli, mettevano in serio pericolo 18 persone e più di cento quadrupedi.
Il comando del presidio militare di Pinerolo, sotto la cui giurisdizione è la zona allagata e quella isolata, disponeva il ritiro di tutti i civili dalla zona pericolosa con la precedenza a donne e bambini.
L’opera di salvataggio che ebbe inizio verso le ore 15 di lunedì scorso, col concorso di militari e tre squadre di pompieri, una di Torino e due da Pinerolo sotto la direzione del Comandante del Distaccamento locale, Geom. Giuseppe Testanera.
Il primo tentativo che richiese molto lavoro per la sua preparazione fallì, e per poco tre generosi pompieri, non annegarono. Infatti la barca con cui cercavano di spingersi verso le cascine isolate, avendo urtato contro due piante, si capovolse, lasciando totalmente sommerso il vigile Filippo, che però mostrò la sua bravura tornando prontamente a galla per riguadagnare la barca. Benché tutto inzuppato d’acqua, continuò a prestare generosamente la sua opera fino a tarda sera.
Quattro vigili tentarono quindi di raggiungere le casermette del Galoppatoio a piedi. Avevano l’acqua non alla gola, alle spalle. (Da notarsi che nella zona sommersa, l’altezza media delle acque era di tre metri). Furono però respinti dalla violenza crescente della corrente.
Nel tardo pomeriggio tre animosi dipendenti, due militari ed un civile, dal centro addestramento del servizio ippico e veterinario, sapendo che gli isolati difettavano di viveri, si erano offerti volontariamente di tentare un guado, cosa che ebbe esito felice e che servì a rifornire gli isolati ed a metterli al corrente di quanto si stava facendo per portarli al sicuro.
Calavano intanto le prime ombre della sera. Le operazioni di salvataggio si facevano tanto più pericolose. Anche il ricorso ai fari si mostrò inefficace. Bisognò attendere la luce del giorno seguente.
Martedì 3, alle ore 7 del mattino si riprendevano i tentativi, validamente appoggiati dagli uomini del Genio Civile e Militare di Torino.
Seguendo il cammino tracciato felicemente fin dal giorno precedente dal geometra Testanera, movendo dal lato dell’abitato di Baudenasca con un canotto pneumatico, i vigili poterono spingersi fin nei pressi delle due cascine.
Un contadino tendeva loro le braccia invocando soccorso. Dalla distanza di una settantina di metri con un lanciasagola gli uomini del canotto gli lanciarono una fune, perché ne legasse una estremità ad un albero, mentre essi facevano la stessa cosa per l’estremità opposta. Assicurato quindi il canotto mediante un anello alla fune tesa, procedevano senza timori.
Raggiunta la casa, assistettero a scene commoventi. Chi gridava dallo spavento patito, chi supplicava, chi ringraziava, gettando le braccia al collo dei salvatori, chi piangeva.
Ma nessuno voleva decidersi a tentare il guado. La prima a rompere gli indugi fu una mamma con due bambine. Tutte e tre affidatesi alla perizia e al coraggio dei vigili, furono tratte in salvo : per circa trecento metri col canotto e poi a spalle.
L’esempio e il successo dell’operazione indusse anche gli altri delle cascine e delle casermette a tentare la stessa via. Il terrore di una lunga notte passata vegliando alla debole luce di qualche candela, fra le lacrime e i gemiti misti ai supplici accenti di preghiere ferventi, andava via via scomparendo dai volti dei salvati, per cedere il posto ad una composta serenità. Più tranquillo di tutti si mostrò un bambino di 13 mesi: mentre era trasportato, fissava due grandi occhi sulle acque fangose, come se volesse fotografarle e trasfigurarle, comunicando loro la limpidezza del suo sguardo.
Così fra le 10 e le 14, fra lo scrosciar della pioggia, a piccoli gruppi che facevano il trasbordo dal canotto alle robuste spalle dei vigili e dei militari, le persone isolate furono ,messe in salvo.
Restarono soltanto nelle case-rifugio una donna paralitica convenientemente assistita, e 7 uomini a custodia dei quadrupedi con tutto il necessario per far fronte ad ogni evenienza.
Tutti gli evacuati, ad eccezione di quelli che ebbero ospitalità da parenti ed amici, trovarono confortevole alloggio in locali già predisposti dall’Autorità Militare.
[….]
Impossibile, per ora, fare un calcolo esatto dei danni causati dall’alluvione.Oltre cento giornate di terreno (pari a circa 38 ettari), coltivati in gran parte a vigna ed a grano sono state devastate. Le piante in alcuni luoghi sono state sradicate.
Il Sindaco di Pinerolo ha fatto presente al Genio Civile la grave situazione in cui è venuta trovarsi tutta la zona in sponda sinistra del Chisone in seguito alla rottura degli argini. Il  Genio Civile, mercoledì 4, ha inviato da Torino l’Ing, Gaspari per un sopraluogo, che venne effettuato insieme col Sindaco e con l’Assessore Nebbiolo.
Poiché la perizia per i lavori di costruzione degli argini di protezione del Chisone è già stata approvata dal Genio Civile, e non ha potuto avere finora esecuzione per esaurimento dei fondi erogati dal Governo per la disoccupazione, il Sindaco ha sollecitato il Genio Civile per l’immediato inizio delle opere suddette coi fondi che si presume saranno assegnati dal governo per rimediare ai gravissimi danni arrecati dalle acque.
Il capoluogo di Macello è stato per alcune ore minacciato seriamente dalle acque straripate. Le autorità comunali con a capo il Sindaco e con l'aiuto di muratori e di volontari disponevano tempestivamente un forte sbarramento a mezzo di travi e di altri mezzi ingombranti all'altezza degli Agnesini, poco lontano dal Galoppatoio, facendo così deviare nuovamente verso il suo letto normale l'impetuosa corrente. Per ragione di prudenza furono fatte sgombrare le case della frazione Malpensata che fortunatamente non furono invase, forse anche per la diga che venne formandosi a qualche centinaio di metri più a settentrione per la provvidenziale caduta di un grosso palo di ferro della corrente elettrica con tutta la sua imponente base di cemento e la sua intelaiatura nel torrente.
Il corso d'acqua detto "La Ghiaia" invase le campagne al di sotto del paese nelle regioni dette le Giairasse, il Sordello, il Rusco recando danni alle rive ed ai campi ed ai pascoli per una distesa di parecchi chilometri.
[…] Alla frazione Castellazzo il Chisone ha pure asportato tratti di terreno coltivato e la casa di Rosseti. (Eco del Chisone, 7 maggio 1949)

Si sarebbe tentati di dire che la storia si ripete, ma si direbbe il falso, perché questa volta a spalare a Macello c'erano i volontari della protezione civile ma nessuno ha visto i militari, buoni conoscitori della nostra zona da loro utilizzata per le operazioni di addestramento e piuttosto efficienti nell'evacuazione dall'area del galoppatoio, ma non altrettanto nel mobilitarsi a difesa del paese (da più parti si sono levate vane voci sull'opportunità di sbarrare il corso dell'acqua attraverso una "diga" posta all'inizio di via Pinerolo e realizzata anche con l'ausilio dei mezzi cingolati dell'esercito). Anche a loro l'alluvione del '49 può ricordare qualcosa.
A Macello e, soprattutto, a Buriasco però parlare del '49 significa riportare anche quanto accaduto il 25 settembre quando un violento uragano travolse tutto il Pinerolese. Questa volta fu il Lemina a straripare nei pressi di San Michele, Baudenasca, Buriasco e Cercenasco e ad allagare le campagne circostanti. Molti furono gli argini divelti, le strade asportate, gli alberi sradicati, le case allagate. Questa la sintesi dell'avvocato Sabbione, relativa al nostro territorio, apparsa sull'Eco del Chisone del 1 ottobre 1949:
[…] Qualche episodio: sotto una tettoia della cascina Lame in Macello i familiari Maniero stanno intenti a spannocchiare il granoturco mentre piove dirotto. Uno schianto: un lampo accecante: il fulmine a pochi metri da loro ha incendiato un mucchio di paglia. Con rapidità le fiamme si comunicano all'edificio e progrediscono malgrado la pioggia e gli immediati apprestamenti degli astinti per spegnerle. Nel paese il capannone rintocca a martello: giungono aiuti ma solo dopo le 23 l'incendio è domato.
A Buriasco l'irromper dell'acqua fangosa trasforma le strade in torrenti alti circa un metro: un gridar di donne e fanciulli: un correre, pantaloni rimboccati al ginocchio, nelle stalle per salvare i preziosi capi di bestiame: una bottega è interamente invasa e la merce distrutta. […]
E qui è forse bene fermarsi per non rischiare di cadere in una lunga elencazione di eventi senza trarne alcuna conseguenza. Si è detto che le responsabilità di buona parte di questi fatti calamitosi dipendono dall'incuria nella pulizia e nella manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti: è una spiegazione pienamente condivisibile se si pensa che gli eventi del 1948-49 cadevano a pochi anni dalla fine della guerra e i disastri del 15 ottobre 2000 sono dovuti anche all'effetto di un appesantimento burocratico che, al fine di evitare speculazioni, ha però di fatto bloccato ogni possibilità di intervento nel letto dei nostri torrenti. Ma le lentezze burocratiche nel nostro paese non sono una novità di questi ultimi anni. Già nel 1883, in occasione dell'Inchiesta agraria Jacini, il deputato pinerolese Francesco Meardi, nella sua relazione al Ministro faceva notare
Quante volte infatti non avviene che per la mancanza di una carta insignificante, un progetto d'argini o di ripari di assoluta urgenza giaccia per mesi e mesi in un ufficio prefettizio o tecnico o si faccia passeggiare di qua e di là; e frattanto giunge un'inondazione che tutto travolgendo rende infruttuosa la pendente pratica ed espone gli interessati ad ingenti danni e ad opere molto più rilevanti!
Tuttavia non mi trovo affatto concorde con coloro che negano la possibilità che un fiume torni a ripercorrere il suo originario percorso, se gli interventi dell'uomo vengono effettuati correttamente. Questa breve incursione negli archivi e nella memoria dimostra infatti che emergono nei secoli alcuni ricorrenti punti critici (Miradolo, la Cardonata, il Torrione, Baudenasca, le frazioni Castellazzo, Malpensata, Boschi, Giairasse, e gli stessi capoluoghi di Macello, Buriasco, Cercenasco) e dovrebbe dunque ricordarci che il nostro territorio non è immune da questo tipo di problemi, che non è sufficiente ripetersi, per tranquillizzarsi, che si tratta di un evento occasionale ma è piuttosto necessario prendere coscienza di questo problema, tenerlo presente nella progettazione dei futuri piani regolatori e, ove ciò non è stato possibile in passato, correre ai ripari, al più presto.





[1] Comune di Macello, Archivio Storico, Faldone n.8, 1708. Trascrizione di Mario Davicino e Valter Careglio

sabato 22 gennaio 2011

Canapa: una lunga storia tra Carmagnola e Macello



Canale di macerazione per la canapa
 a Carmagnola

L'area di Carmagnola, Lombriasco, Casalgrasso, Carignano, Moretta, Polonghera, Carignano, Racconigi, Villafranca, Faule, Pancalieri, Cavour Vigone, Virle, Cercenasco,Garzigliana e Macello è una regione in cui la coltivazione della canapa è stata nei secoli assai diffusa e significativa per l'economia locale.

            Le tracce di quella quella coltura sono disseminate nei nostri paesaggi agrari, all'interno dei quali occhi attenti possono ancora scorgere i resti di qualche maceratoio (nasur), oppure in alcuni toponomi, come quello di regione “battitori” a Macello.
          L'attenzione su questa antica coltivazione è stata richiamata in anni recenti dal Comune di Carmagnola, che ha addirittura costituito un ecomuseo della canapa, e attraverso tenaci volontarie ricorda ancora quanto fosse importante, nel capoluogo di pianura, l'attività dei cordai, organizzati in corporazione artigiana fin dal XVIII secolo e concentrati nel borgo San Bernardo.
            Il mercato di Carmagnola era del resto già celebre nel Trecento per il commercio della fibra e del seme di canapa e nel corso del'età moderna i cordai carmagnolesi furono tra i principali fornitori dell'esercito sabaudo. Con l’avvento dell’industria nella prima metà dell’Ottocento a Carmagnola erano presenti già tredici canapifici che lavoravano per un fiorente mercato per il quale - come ricorda Renzo Agasso[1] - nel 1846 fu costruita un'apposita tettoia. Germana Cortassa, nella sua tesi di laurea, parla addirittura di un marrchio di qualità: "I commercianti di canapa di Carmagnola, vista la rinomanza della loro produzione, richiedevano ogni qualvolta inviavano balle di canapa fuori dal territorio comunale, l'apposizione del timbro della città, attestante la provenienza della canapa e la qualità".
            Carmagnola deteneva sicuramente il primato quantitativo nella produzione di canapa, ma quanto a quantità - se rapportata alle dimensioni del comune - e soprattutto a qualità anche Macello non scherzava. I catasti conservati nell'Archivio storico testimoniano infatti che se questa coltivazione era totalmente assente nel Trecento, essa prese invece piede nel corso dei secolil XV e XVI: da 12 giornate del 1437 si passa a 18 del 1458, a 23 nel 1533. Dietro a questo incremento a Macello, e più in generale nella piana pinerolese, si cela sicuramente lo sviluppo delle industrie artigiane a Pinerolo che, nel corso del Quattrocento, grazie a una buona disponibilità di risorse idriche e manodopera, nonché a un sistema mercatale e fieristico che richiamava commercianti anche da molto lontano, erano in grado di conquistare anche mercati lontani.
            La canapa segnerà in ogni caso profondamente il paesaggio agrario di Macello nei secoli. Secondo una testimonianza di Luigi Priotti, nel periodo di massima espansione, essa ebbe un'importanza pari al mais oggi. E una conferma in questo senso ci viene da Goffredo Casalis che sottolinea, a metà dell'Ottocento, come la canapa macellese riesca "molto atta alla formazione della tela". Ma gli usi della canapa erano molteplici e andavano al di là dei tessuti: essa serviva, come abbiamo già detto, per produrre robuste funi, i suoi stocchi venivano usati per la lettiera degli animali e da essa poteva venire estratto l'olio.
            La canapa veniva seminata di norma su terreni profondamente arati e ben concimati in rotazione con i cereali e offriva ai contadini un buon ritorno economico. Nonostante ciò va detto che essa ebbe scarsa diffusione nella provincia di Torino (alla fine del XIX secolo occupava un decimo dell'arativo, in media 4500 ettari, con un prodotto medio di 28.000 quintali all'anno) in generale e - dato assai interessante per noi - finì per concentrarsi proprio nella nostra regione come ci ricordano anche i contemporanei: "In tutti i territori posti nella pianura fa ottima riuscita [...]; nei territori però di Vigone e Pancalieri se ne raccoglie in maggior quantità; la migliore, ossia la più forte è quella che raccogliesi nel territorio di Macello" testimonia l'architetto Amedeo Grossi all'inizio dell'Ottocento. E ancora Goffredo Casalis ci ricorda che a Macello, Cavour, Villafranca, Pancalieri e Vigone la canapa occupava l'ottava parte "dei medesimi campi, e si aumenterà vieppiù questo ramo di coltura avuto riguardo al prezzo della canapa stessa". Le cose in realtà - come scrive Renzo Agasso - andarono diversamente dalle previsioni del Casalis, infatti con il pretesto del risanamento del debito estero Quintino Sella fece chiudere molte corderie destinate alla marina militare e rinunciò ad utilizzare la canapa nostrana.
            Oggi è l'Assocanapa, e soprattutto il suo tenace presidente, Felice Giraudo, a investire sul rilancio di questa coltura, e non è detto che con le nuove politiche agrarie del 2006, questa scommessa non possa rivelarsi alla fine vincente, ridisegnando nuovamente parte del nostro paesaggio agrario.
                                                                                                                                   

La canapa nelle Inchieste agrarie di fine Ottocento

           L'inchiesta agraria di Stefano Jacini e quella di Agostino Bertani sulle condizioni dei lavoratori della terra ci offrono una dettagliata descrizione delle fasi di lavorazione della canapa e degli inconvenienti che esse potevano produrre:

La canapa è coltivata più estesamente; divelta a maturità dal suolo, viene legata in fasci e poi deposta in strati in apposite fosse che sono riempite d'acqua; quivi è tenuta sommersa ponendovi sopra pietre o terra. La macerazione dura 6 o 7 giorni, cioè finché, provando si vede che la fibra si stacca, poscia si estrae la canapa, e la si lava e netta diligentemente onde la materia tigliosa non rimanga sporca, e la si pone ad asciugare al sole.
La macerazione possibilmente è fatta in acqua stagnante perché riesce meglio; coloro però che non possiedono maceratoi, e sono vicini a qualche torrente sogliono anche collocarla in queste. Nelle località prive d'acqua si fa macerare la canapa alla rugiada, stendendola sui prati o sulle stoppie dei campi. Le macerazioni chimiche sono ancora affatto sconosciute.
La stigliatura è fatta in massima parte a mano nelle serate d'autunno, e nei giorni piovosi.
In alcuni siti si usano le antiche e rozze maciulle di legno; l'uso delle macchine incomincia appena in quei territori ove la canapa è coltivata più estesamente.
La macchina dell’ingegnere Barberis, mossa dal vapore, è adoperata in qualcuno dei maggiori fondi nel territorio di Villafranca e paesi circonvicini.
Il conte Meana, in Fossano cercò diffonderne l'uso e fu il primo che abbia introdotto un sistema di stigliatura industriale, assumendosi di compiere tale operazione per tutti coloro che vogliono condurla al di lui predio.[2]
La macerazione che si fa all'aria aperta non è punto insalubre: un odore speciale e penetrante che esala dal campo dove ha luogo, produce cefalgie ed anche vomito, ma nelle persone soltanto che non vi sono abituate. […]. La macerazione nell'acqua corrente è preferita. L'acqua corrente scioglie a poco a poco e trasporta le materie gommo-resinose e coloranti di queste piante. […]
La macerazione di queste piante si fa anche in acque stagnanti o semistagnanti, sia che si abbiano naturalmente sul posto, sia che si ottengano deviando acqua corrente in fosse all'uopo scavate, o in altri modi. In questo caso l'acqua è sempre satura di sostanze organiche in putrefazione e di altre sostanze fisse o volatili che si svolgono da essa. L'aria circostante fa sentire anche di lontano un odore graveolente, che fu ritenuto in passato nocivo alla salute degli abitanti. Ma se i prodotti gassosi della putrefazione riescono molesti, non sono di alcun nocumento; e perciò i luoghi in cui si opera la macerazione si debbono considerare incomodi anziché insalubri, e sarà provveduto abbastanza quando si tengano lontani dall'abitato. […]
Se il terreno contiene i germi della malaria, è certo che senza un conveniente deflusso, le fosse di macerazione vengono a favorirne lo sviluppo. Come si è detto per le risaie, abbiamo qui riunite l'umidità e l'azione dell'ossigeno dell'aria, che insieme con l'alta temperatura sono le circostanze più propizie alla moltiplicazione di quei germi. […]
            La maciullatura delle canape e del lino, che si fa dopo la macerazione, è un lavoro che può durare, secondo la quantità del raccolto, da poche settimane a parecchi mesi.[3]


Filmato sugli attuali riutilizzi della canapa (da You Tube)






[1] AA.VV, Tra arti e mestieri, Centro Studi Carmagnolesi, Carmagnola, 1992.
[2] Meardi Francesco, op.cit., p.151.
[3] Panizza Mario, Risultati dell'Inchiesta istituita da Agostino Bertani sulle condizioni sanitarie dei lavoratori della terra in Italia, Roma, Stabilimento Tipografico Italiano, 1890, pp.42-43.