domenica 6 febbraio 2011

Alluvioni a Macello

L'importanza degli archivi e della memoria

Un percorso ecostorico
             Tra le tante polemiche che l'alluvione ha registrato contro l'incuria generale nella pulizia dei fiumi, e del torrente Chisone in particolare, contro gli scarsi interventi previsti dal Magistrato del Po a tutela del nostro territorio, mi sembra che non sia stato dato sufficiente rilievo a un problema di non poco conto nella pianificazione del nostro territorio (piani regolatori) e di eventuali forme di difesa dalle future alluvioni: in quest'ultima ondata le zone in fascia fluviale a rischio sono state solo marginalmente interessate dall'evento, mentre il capoluogo, che si trova al di fuori di questa fascia ne è stato travolto totalmente.
            Errori del geologo? Non lo so. Certo è che quando un toponimo si chiama "Malpensata" o "Giairasse", chi determina le zone a rischio alluvionale di un Comune, dovrebbe almeno riflettere un momento sul suo etimo che, evidente nel primo caso, nel secondo, come ghiaia, deriva dal latino glarea (= detriti di rocce trasportati dai fiumi) e, da questo punto di vista non lascia sperare nulla di buono. In ogni caso i toponimi da soli non bastano.
            Si può ricorrere allora alla memoria degli anziani o a quanto conservato negli archivi comunali e parrocchiali.
            Ho provato a svolgere questo esercizio, soprattutto nella prospettiva di offrire al geologo del materiale su cui riflettere in vista della sua relazione per il nuovo piano regolatore. Inutile dire che, pur avendo effettuato uno spoglio di documenti ancora sommario, mi sono imbattuto in una serie di documenti significativi che forse è bene condividere con tutti, affinché tutti sappiano e ciascuno tragga le sue conseguenze.

Tre secoli fa
            Innanzitutto va detto che Macello ha patito fin dall'inizio la sua vicinanza al Chisone tanto che, sorto originariamente oltre la balera della Ghiara, intorno all'antica Chiesa parrocchiale di S.Maria Maddalena, a levante-mezzogiorno dell'attuale abitato, e dunque verso il Chisone, con la costruzione del castello finì per essere spostato in una posizione più sicura attorno al ricetto che si stava sviluppando già nel corso del XIV secolo.
            Nonostante ciò, ancora all'inizio del settecento il torrente continuava a creare problemi alla Comunità macellese che, in una supplica, esortava la Duchessa di Savoia Anna D'Orleans, a prendere i dovuti provvedimenti:

Espone la Comunità di Macello quando nell’occasione dell’innalzamento del livello dei fiumi avvenuta a causa della pioggia caduta nella primavera trascorsa, il torrente Chisone si ingrossò in tale maniera che, lasciato il suo vecchio letto, ne formò uno novo nel territorio di Macello, e ne’ più fertili beni d’esso, ove continuamente et inanzio presentemente ha corrozo, et va corrodendo beni, et nel caso de nova escrescenza, oltre alli beni, le case et habitazioni […] d’esso luogo restano in evidente pericolo d’essere corrose, et estirpate, et ridotto il Registro della Comunità a puoco, o nulla.
  E per evitare quanto su esposto si richiedono pronti riparti da farsi, eziandio sovra territori alieni, et massime superiori a quelli di Macello […]
  La S.V si degni di comandare a chi meglio le parirà che trasferendosi sovra li luoghi de’ luoghi e chiamati quelli che si dovranno chiamare, assunto seco persona esperta, faccia procedere alla deposizione di quei ripari necessari e sufficienti, et in quelli luoghi che stimerà più opportuni per evitare i danni che potrebbero venir causati da nuove inondazioni, e presa cognizione di tutti i danni già causati e che possono causarsi dal torrente.
  Nell’occasione di tali ripari proposti si faccia concorrer anche le altre comunità, sia inferiori che superiori, si e come si stimerà conveniente […]
  Si rimanda al Conte e Refferendario […] della Provincia di Pinerolo, ed in sua assenza al Conte Refferendario di Stato […] che trasferendosi sovra li luoghi de’ luoghi supplicati, chiamati quelli che si devono.[…]
            Una relazione successiva confermava la
Situazione delle Repari […] al luogo del Bacino Chisone […]
  Ripari si devono conservare […] a Pinerolo e Macello e vicino all’imboccatura della bialera di Vigone. […] Secondo si formerà un reparo al di sotto del ponte a Garzigliana nella regione Boschi del paschetto e nel territorio di Vigone, a Garzigliana.

            E portava alla tanto auspicata ordinanza di intervento:

ANNA D’ORLEANS PER GRAZIA DI DIO, DUCHESSA DI SAVOIA, PRINCIPESSA DI PIEMONTE, REGINA DI CIPRO
Visto le nostre udienze, alligata supplica, e considerato il suo tenore. Per le presenti, di nostra certa scienza in vigore dell’autorità che teniamo, da S.A.R. mio signore e consorte, e con il parere del Consiglio mandiamo ed ordiniamo al Conte Referendario Ruschis, direttore della Provincia di Pinerolo, ed in sua assenza al Conte e Referendario di Stato Cassotti di Ceresole, quali in ciò, specialmente reputiamo che, trasferendosi sovra li luoghi de’ luoghi supplicati, e chiamati quelli che si dovranno chiamare [provvedano tempestivamente a riparare i danni con un contributo spese per quelle comunità che pensa che debbano avere tale aiuto][…] Torino, 20.8.1708[1]
            Si trattò evidentemente di piccoli interventi, dal momento che l'architetto Amedeo Grossi, nella sua Corografia della città e provincia di Pinerolo (1800), segnala che a metà del '700 il paese fu travolto da una grave e pesante alluvione:
  Verso la metà del presente secolo il Chisone andò inondare il Luogo di Macello, per cui si suonò campana a martello, acciò che il Popolo si mettesse in salvo.

Nell'Ottocento
            Ed è ancora Casalis, mezzo secolo dopo, a segnalare le continue difficoltà che derivano dalle continue esondazioni del torrente Chisone:
 Il Chisone vi si tragitta col mezzo di un ponte in legno facile ad essere distrutto dalle escrescenze dalle acque, come sovente accade in primavera e anche in autunno […] Per mezzo di canali se ne derivano le acque per l’irrigazione, delle campagne di vari comuni sui quali discorre; è però danno che esso nelle frequenti sue piene apporti gravissimi danni al territorio della città di Pinerolo, e alle terre dei Comuni di Macello e Cavorre.
              Ovviamente ad essere coinvolto da questo piene non è solo territorio di Macello, ma anche quelli di Garzigliana e Cavour (Castellazzo). Tutti abbiamo constatato come in quest'ultima alluvione la sponda più erosa dal Chisone sia stata quella sul territorio di Cavour, in prossimità di regione Castellazzo. Un dato che, a leggere i giornali di fine ottocento, non sembra rappresentare una novità:
 Le recenti piogge, mentre hanno ritardato lo sviluppo della vegetazione nelle nostre campagne han pure causato le piene dei torrenti Chisone e Pellice, e non pochi gravi danni. […]
Ma dove maggiore correva il pericolo si era nelle vicinanze di Garzigliana. Il Chisone invase la località detta del Castellasso, obbligando parecchi massari a sgombrare dalle loro case con il bestiame, ed inondando prati, campi e vigne per la superificie di circa due miglia.(La lanterna del Pinerolese, 17 maggio 1890).
 
La penultima ondata
            Al di là di queste piccole notizie d'archivio la memoria degli anziani si concentra sulla grande alluvione che investì le campagne macellesi, subito dopo l'ultimo conflitto mondiale, nel 1949. Una tragedia annunciata, dal momento che già un anno prima, il 16 maggio del 1948, il Chisone, dopo aver rotto gli argini degli Agnesini, tornava seriamente a minacciare le campagne di Baudenasca e Macello:

Domenica mattina, 16 (del) corrente (mese),il Sindaco di Pinerolo con l’Assessore (….) e il Sindaco di Macello, si sono recati nella località maggiormente colpite dall’inondazione, ed hanno provveduto a far eseguire opere di fortuna per contenere le acque del Chisone, che avevano già rotto le vecchie arginature presso le cascine Agnesini, minacciando di rompere completamente la sponda e di riversarsi nelle campagne circostanti di Baudenasca  e Macello. (L'Eco del Chisone, 22 maggio 1948).

            E in effetti, con una ciclicità impressionante, l'alluvione del 2 maggio 1949 colpì pesantemente le nostre campagne: in seguito allo straripamento del Chisone, provocato dalla rottura degli argini in zona Agnesini, nelle vicinanze del Torrione, veniva infatti isolato il Galoppatoio di Baudenasca e le acque invadevano immediatamente le due cascine denominate “Venaria”, ed alcuni locali dell’amministrazione militare.
            Ripercorriamo attraverso la cronaca del settimanale locale quei terribili eventi:
La situazione si presentava subito grave, in quanto la larghezza e l’impetuosità del doppio corso d’acqua che si era venuto a formare (da una parte le acque del Chisone, e dall’altra quelle del canale irriguo di Buriasco, alimentato dal Chisone) e le condizioni meteorologiche sempre sfavorevoli, mettevano in serio pericolo 18 persone e più di cento quadrupedi.
Il comando del presidio militare di Pinerolo, sotto la cui giurisdizione è la zona allagata e quella isolata, disponeva il ritiro di tutti i civili dalla zona pericolosa con la precedenza a donne e bambini.
L’opera di salvataggio che ebbe inizio verso le ore 15 di lunedì scorso, col concorso di militari e tre squadre di pompieri, una di Torino e due da Pinerolo sotto la direzione del Comandante del Distaccamento locale, Geom. Giuseppe Testanera.
Il primo tentativo che richiese molto lavoro per la sua preparazione fallì, e per poco tre generosi pompieri, non annegarono. Infatti la barca con cui cercavano di spingersi verso le cascine isolate, avendo urtato contro due piante, si capovolse, lasciando totalmente sommerso il vigile Filippo, che però mostrò la sua bravura tornando prontamente a galla per riguadagnare la barca. Benché tutto inzuppato d’acqua, continuò a prestare generosamente la sua opera fino a tarda sera.
Quattro vigili tentarono quindi di raggiungere le casermette del Galoppatoio a piedi. Avevano l’acqua non alla gola, alle spalle. (Da notarsi che nella zona sommersa, l’altezza media delle acque era di tre metri). Furono però respinti dalla violenza crescente della corrente.
Nel tardo pomeriggio tre animosi dipendenti, due militari ed un civile, dal centro addestramento del servizio ippico e veterinario, sapendo che gli isolati difettavano di viveri, si erano offerti volontariamente di tentare un guado, cosa che ebbe esito felice e che servì a rifornire gli isolati ed a metterli al corrente di quanto si stava facendo per portarli al sicuro.
Calavano intanto le prime ombre della sera. Le operazioni di salvataggio si facevano tanto più pericolose. Anche il ricorso ai fari si mostrò inefficace. Bisognò attendere la luce del giorno seguente.
Martedì 3, alle ore 7 del mattino si riprendevano i tentativi, validamente appoggiati dagli uomini del Genio Civile e Militare di Torino.
Seguendo il cammino tracciato felicemente fin dal giorno precedente dal geometra Testanera, movendo dal lato dell’abitato di Baudenasca con un canotto pneumatico, i vigili poterono spingersi fin nei pressi delle due cascine.
Un contadino tendeva loro le braccia invocando soccorso. Dalla distanza di una settantina di metri con un lanciasagola gli uomini del canotto gli lanciarono una fune, perché ne legasse una estremità ad un albero, mentre essi facevano la stessa cosa per l’estremità opposta. Assicurato quindi il canotto mediante un anello alla fune tesa, procedevano senza timori.
Raggiunta la casa, assistettero a scene commoventi. Chi gridava dallo spavento patito, chi supplicava, chi ringraziava, gettando le braccia al collo dei salvatori, chi piangeva.
Ma nessuno voleva decidersi a tentare il guado. La prima a rompere gli indugi fu una mamma con due bambine. Tutte e tre affidatesi alla perizia e al coraggio dei vigili, furono tratte in salvo : per circa trecento metri col canotto e poi a spalle.
L’esempio e il successo dell’operazione indusse anche gli altri delle cascine e delle casermette a tentare la stessa via. Il terrore di una lunga notte passata vegliando alla debole luce di qualche candela, fra le lacrime e i gemiti misti ai supplici accenti di preghiere ferventi, andava via via scomparendo dai volti dei salvati, per cedere il posto ad una composta serenità. Più tranquillo di tutti si mostrò un bambino di 13 mesi: mentre era trasportato, fissava due grandi occhi sulle acque fangose, come se volesse fotografarle e trasfigurarle, comunicando loro la limpidezza del suo sguardo.
Così fra le 10 e le 14, fra lo scrosciar della pioggia, a piccoli gruppi che facevano il trasbordo dal canotto alle robuste spalle dei vigili e dei militari, le persone isolate furono ,messe in salvo.
Restarono soltanto nelle case-rifugio una donna paralitica convenientemente assistita, e 7 uomini a custodia dei quadrupedi con tutto il necessario per far fronte ad ogni evenienza.
Tutti gli evacuati, ad eccezione di quelli che ebbero ospitalità da parenti ed amici, trovarono confortevole alloggio in locali già predisposti dall’Autorità Militare.
[….]
Impossibile, per ora, fare un calcolo esatto dei danni causati dall’alluvione.Oltre cento giornate di terreno (pari a circa 38 ettari), coltivati in gran parte a vigna ed a grano sono state devastate. Le piante in alcuni luoghi sono state sradicate.
Il Sindaco di Pinerolo ha fatto presente al Genio Civile la grave situazione in cui è venuta trovarsi tutta la zona in sponda sinistra del Chisone in seguito alla rottura degli argini. Il  Genio Civile, mercoledì 4, ha inviato da Torino l’Ing, Gaspari per un sopraluogo, che venne effettuato insieme col Sindaco e con l’Assessore Nebbiolo.
Poiché la perizia per i lavori di costruzione degli argini di protezione del Chisone è già stata approvata dal Genio Civile, e non ha potuto avere finora esecuzione per esaurimento dei fondi erogati dal Governo per la disoccupazione, il Sindaco ha sollecitato il Genio Civile per l’immediato inizio delle opere suddette coi fondi che si presume saranno assegnati dal governo per rimediare ai gravissimi danni arrecati dalle acque.
Il capoluogo di Macello è stato per alcune ore minacciato seriamente dalle acque straripate. Le autorità comunali con a capo il Sindaco e con l'aiuto di muratori e di volontari disponevano tempestivamente un forte sbarramento a mezzo di travi e di altri mezzi ingombranti all'altezza degli Agnesini, poco lontano dal Galoppatoio, facendo così deviare nuovamente verso il suo letto normale l'impetuosa corrente. Per ragione di prudenza furono fatte sgombrare le case della frazione Malpensata che fortunatamente non furono invase, forse anche per la diga che venne formandosi a qualche centinaio di metri più a settentrione per la provvidenziale caduta di un grosso palo di ferro della corrente elettrica con tutta la sua imponente base di cemento e la sua intelaiatura nel torrente.
Il corso d'acqua detto "La Ghiaia" invase le campagne al di sotto del paese nelle regioni dette le Giairasse, il Sordello, il Rusco recando danni alle rive ed ai campi ed ai pascoli per una distesa di parecchi chilometri.
[…] Alla frazione Castellazzo il Chisone ha pure asportato tratti di terreno coltivato e la casa di Rosseti. (Eco del Chisone, 7 maggio 1949)

Si sarebbe tentati di dire che la storia si ripete, ma si direbbe il falso, perché questa volta a spalare a Macello c'erano i volontari della protezione civile ma nessuno ha visto i militari, buoni conoscitori della nostra zona da loro utilizzata per le operazioni di addestramento e piuttosto efficienti nell'evacuazione dall'area del galoppatoio, ma non altrettanto nel mobilitarsi a difesa del paese (da più parti si sono levate vane voci sull'opportunità di sbarrare il corso dell'acqua attraverso una "diga" posta all'inizio di via Pinerolo e realizzata anche con l'ausilio dei mezzi cingolati dell'esercito). Anche a loro l'alluvione del '49 può ricordare qualcosa.
A Macello e, soprattutto, a Buriasco però parlare del '49 significa riportare anche quanto accaduto il 25 settembre quando un violento uragano travolse tutto il Pinerolese. Questa volta fu il Lemina a straripare nei pressi di San Michele, Baudenasca, Buriasco e Cercenasco e ad allagare le campagne circostanti. Molti furono gli argini divelti, le strade asportate, gli alberi sradicati, le case allagate. Questa la sintesi dell'avvocato Sabbione, relativa al nostro territorio, apparsa sull'Eco del Chisone del 1 ottobre 1949:
[…] Qualche episodio: sotto una tettoia della cascina Lame in Macello i familiari Maniero stanno intenti a spannocchiare il granoturco mentre piove dirotto. Uno schianto: un lampo accecante: il fulmine a pochi metri da loro ha incendiato un mucchio di paglia. Con rapidità le fiamme si comunicano all'edificio e progrediscono malgrado la pioggia e gli immediati apprestamenti degli astinti per spegnerle. Nel paese il capannone rintocca a martello: giungono aiuti ma solo dopo le 23 l'incendio è domato.
A Buriasco l'irromper dell'acqua fangosa trasforma le strade in torrenti alti circa un metro: un gridar di donne e fanciulli: un correre, pantaloni rimboccati al ginocchio, nelle stalle per salvare i preziosi capi di bestiame: una bottega è interamente invasa e la merce distrutta. […]
E qui è forse bene fermarsi per non rischiare di cadere in una lunga elencazione di eventi senza trarne alcuna conseguenza. Si è detto che le responsabilità di buona parte di questi fatti calamitosi dipendono dall'incuria nella pulizia e nella manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti: è una spiegazione pienamente condivisibile se si pensa che gli eventi del 1948-49 cadevano a pochi anni dalla fine della guerra e i disastri del 15 ottobre 2000 sono dovuti anche all'effetto di un appesantimento burocratico che, al fine di evitare speculazioni, ha però di fatto bloccato ogni possibilità di intervento nel letto dei nostri torrenti. Ma le lentezze burocratiche nel nostro paese non sono una novità di questi ultimi anni. Già nel 1883, in occasione dell'Inchiesta agraria Jacini, il deputato pinerolese Francesco Meardi, nella sua relazione al Ministro faceva notare
Quante volte infatti non avviene che per la mancanza di una carta insignificante, un progetto d'argini o di ripari di assoluta urgenza giaccia per mesi e mesi in un ufficio prefettizio o tecnico o si faccia passeggiare di qua e di là; e frattanto giunge un'inondazione che tutto travolgendo rende infruttuosa la pendente pratica ed espone gli interessati ad ingenti danni e ad opere molto più rilevanti!
Tuttavia non mi trovo affatto concorde con coloro che negano la possibilità che un fiume torni a ripercorrere il suo originario percorso, se gli interventi dell'uomo vengono effettuati correttamente. Questa breve incursione negli archivi e nella memoria dimostra infatti che emergono nei secoli alcuni ricorrenti punti critici (Miradolo, la Cardonata, il Torrione, Baudenasca, le frazioni Castellazzo, Malpensata, Boschi, Giairasse, e gli stessi capoluoghi di Macello, Buriasco, Cercenasco) e dovrebbe dunque ricordarci che il nostro territorio non è immune da questo tipo di problemi, che non è sufficiente ripetersi, per tranquillizzarsi, che si tratta di un evento occasionale ma è piuttosto necessario prendere coscienza di questo problema, tenerlo presente nella progettazione dei futuri piani regolatori e, ove ciò non è stato possibile in passato, correre ai ripari, al più presto.





[1] Comune di Macello, Archivio Storico, Faldone n.8, 1708. Trascrizione di Mario Davicino e Valter Careglio